Letti in trenO – Sono contrario alle emozioni

“Scusa eh, ma a cosa ti stai prestando? Perché rimani qui seduto a permettere a tutte queste emozioni di attaccarti in branco, neanche ci fosse qualcosa di nobile nel lasciarsi sopraffare in questo modo? Guardale, ogni canzone se ne porta un gruppetto in gita. Malinconia, entusiasmo, piccoli brividi di freddo non spiacevole, picchi gratuiti d’autostima, bigiotteria di felicità, desiderio improvviso di prendersi un cane, desiderio improvviso di contribuire al risparmio energetico, nostalgia delle polpette della nonna, ricordi che si sollevano come zombie e vengono a chiederti l’elemosina a tanto cosí dalla faccia: un piccolo esercito di stati d’animo che ti prendono per un parcheggio e se ne stanno lí in fila ad aspettare il loro turno.
Oh, ho detto, e basta! Ma chi credete di essere? Chi vi conosce? Delle vecchie bacucche scongelate, ecco cosa siete. Sempre lí a imbellettarvi, a riproporvi, a toccare dove non dovreste. Stavo solo cercando di disertare dalla razza umana per un po’, non c’era ragione di sentirmi prima nostalgico,  poi entusiasta, poi deluso in amore, poi felice e tutta quella gamma di sfumature lí. Io lo butto questo cazzo di mp3. Detesto le canzoni che ci ho messo dentro. Mi piacevano tanto, santo Dio, alcune ci ho perso le giornate per imparare a suonarle, da ragazzo: com’è che adesso mi sembrano dei sofficini? E piantatela, una buona volta, di stare sempre a ingentilirci l’animo. Diteci qualcos’altro. Oppure lasciateci in pace. Che se non ci emozioniamo stiamo bene lo stesso.”

“E sì, mi manca ancora. Per quanto incomprensibile possa essere, sento ancora la sua mancanza. La sento soprattutto in questo tipo di situazione, quando esco, quando mi siedo in un ristorante con qualcuno, quando viene un po’ di sole dopo che ha piovuto, quando la normalità incalza. E’ soprattutto in quei momenti che mi domando cosa ci faccio lì. Perché rimango. Perché non me ne vado. E perché quello che mangio non sa di niente. E perché delle cose che dicono gli amici, non mi importi assolutamente nulla. E risponda per pura cortesia, sperando che se la bevano e pensando che se pure non se la bevono fa lo stesso. E perché quando mi sembra di cominciare a rilassarmi, finalmente, vengo subito assalito dal solito stormo di piccoli ricordi felici che vuole portarmi via da dove sto. E perché mi sembra di aver lasciato la vita da qualche parte. Ma dove?”

“Ristabiliamo il primato di un’emozione anarchica, irriproducibile, inclassificabile, su cui non si possano accampare diritti, specialmente d’autore. Di una strizza estemporanea che non c’entra niente con le contingenze, ma quando viene non la dimentichi più (perché è tipico delle strizze che non c’entrano con le contingenze non farsi dimenticare; e meno c’entrano, più strizzano). Della compostezza di un dolore vero. Dell’inconfondibile caldana che segue a una figura di merda. Dell’incomunicabilità di una cosa importante. Della ricerca del modo per dirla. Dell’indescrivibile sazietà che provi quando capisci in pieno il significato di una parola, e impari esattamente dove metterla. Allora ti sembra che il mondo, ma proprio tutto, diventi una cosa che si apre e si chiude (e quindi, all’occorrenza, si aggiusta).”

“A forza di soffrire per te ho contratto un debito intellettuale nei confronti del tempo che attraverso. Sono un militante del pensiero critico. Mi attirano libri che fino a qualche tempo fa m’innervosivano solo a leggerne il titolo. Sei compatibile con tutto: con il privato, il pubblico, la politica, l’etica, l’estetica, la religione, la musica, la letteratura, il cinema, il teatro, l’informazione, la tecnologia, la pubblicità dei pannolini e persino quella delle macchine. Ogni cosa è compromessa con te. E io sono obbligato a speculare su tutto, perché tutto ti riguarda. Sei ovunque, tranne dove vorrei che fossi. Indovina dove.”

“Lei ha uno scompenso tra la sfera razionale e quella emotiva. La prima la governa, ma ha un controllo insufficiente sulla seconda. Non decodifica le sue emozioni, non le sente arrivare, non le anticipa. Semplicemente le subisce. Quando le vengono addosso, è del tutto impreparato ad affrontarle. E quelle la investono, come farebbe una macchina o un camion.”

“Perché per dire certe cose bisogna scegliere accuratamente le parole, provarle e riprovarle finché non si è sicuri che non ce ne sono di migliori, pensando che chi ti ascolta approfitterà della prima imprecisione per riderti in faccia. Come parlare a uno scettico, capisce? Ci vuole cautela per impedirgli di rifiutare a priori un’altra versione dei fatti. Ci sono cose che diventano cazzate se non le dici come vanno dette”

“Ti domandi perché succedono cose come questa. Soprattutto, come fanno a succedere. Com’è che le circostanze riescono a combinarsi in modo da mandarti anche solo per un giorno alla più totale deriva, spingendoti a queste forme incontrollabili di vagabondaggio, di sperpero del tempo e d’incuria delle relazioni.”

“Che mistero molecolare nascondono quelli che si accontentano?
Nel corso degli anni in cui mi sono impegnato a fare le cose che volevo, essenzialmente fra i trenta e i quaranta, mi è successo d’imbattermi in persone giovani e chiaramente capaci che facevano lavori provvisori (o almeno così a me sembravano), tipo le fotocopie in una cartoleria, e di pensare che un giorno, tornando in quel negozio, non li avrei più trovati, perché nel frattempo sarebbero certamente riusciti a realizzare qualche progetto più ambizioso che immaginavo avessero continuato a coltivare con tenacia e pazienza mentre si guadagnavano da vivere fotocopiando planimetrie, atti giudiziari e dispense universitarie.
Invece poi sono rimasti lì, a distanza di tutti questi anni, lavorano ancora nella stessa cartoleria, e se li guardo meglio capisco che quella vita gli basta, che non ne volevano un’altra, e stanno bene dove stanno.
E’ quando mi trovo davanti a persone così che penso d’aver sbagliato un sacco di cose.
Sapessi quali.”

“Io non mento a me stesso per ingannarmi. Mento a me stesso per crederci. So come mi sento e perché. Conosco ogni micromovimento, avvisaglia, sintomo o rumore del mobbing dell’infelicità. Quello smarrimento così caratteristico, che rende l’aria disgustosamente dolciastra, come di pesche andate a male. Quella solitudine definitiva. Quella svalutazione immediata di tutto. Di me stesso, soprattutto.”

“Un supereroe vincente è inammissibile. Un eroe, per essere super, deve essere sfigato.”

Letti in trenO – Sono contrario alle emozioni .  Diego de Silva

 

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