Nella caduta getta le mani avanti e istintivamente si aggrappa a qualcosa con la mano sinistra, mentre la destra viene prontamente afferrata da una mano estranea.
Prima ancora di guardarsi negli occhi i due si tengono in questa posizione per pochi secondi.
Quando stai per cadere, sia essa una caduta accidentale o voluta, inconsciamente desideriamo essere salvati eppure di lasciarci andare, inghiottiti nel nero più denso, avvolti e affogati nel silenzio.
Nella folla della quotidiana gente siamo soli, e nel dolore siamo invisibili.
Chi è disposto ad entrare nell’inferno dell’altro?
Eppure nell’umana disperazione di fondo l’istinto di sopravvivenza cerca quella mano che ti afferri e a cui afferrarsi. ed è una cosa su cui la nostra sola volontà non basta.
Si guardarono negli occhi, come si guarda una cosa nuova. Lui la invitò per un caffè e lei nel timore di essere sgarbata accettò. Al caffè, inizialmente, parlarono appena, le loro mani erano distanti e i loro sguardi fuggevoli e curiosi.
Lentamente cominciarono a prendere confidenza e si ritrovarono a parlare in una strana empatia.
Davanti a quel caffè acquoso l’uomo osservò le sue mani. E ricordò l ultima volta che una donna si era aggrappata a lui con la stessa intensità.
Ci sono odori, sapori e gesti che riportano alla memoria periodi della nostra vita da dimenticare, da seppellire sotto secoli di depositi terrestri. Come se non fossero mai esistiti, e la nostra immagine non ne fosse stata lesa in maniera irrevocabile. Come fossero un imperativo che esiste dentro di noi prima del nostro DNA.
Quale è l’istante preciso in cui, pur essendo consapevoli che questa vita è unica e ultima, noi facciamo una scelta che cambierà per sempre la nostra vita?
Lei sorrise all’esclamazione del caffè imbevibile dell’uomo e prese a raccontargli la sua storia.
A quell’uomo che aveva incontrato tempo prima, come l’ultimo degli appigli che la vita ti offre. Come l’unico e possibile previsto per te.
Alla seconda boccata di fumo lui le chiese dove era diretta e mentre si trovarono a parlare del più e del meno si scoprirono simili, con un vissuto analogo che a dispetto di strade diverse li aveva portati lì ora.
Le luci soffuse nel bar illuminano appena questa coppia di estranei che la vita ha voluto far incontrare per caso. Come uno scherzo del destino, come fosse inchiostro simpatico reso illeggibile fino alla pagina del giorno di ieri, come fosse stabilito dalle sei coincidenze di Kundera, un es muss sein a cui l’umanità non può opporre resistenza.
La mano di lei sfiorò appena quella dell’uomo mossa da un istinto di empatia letto appena negli occhi sfuggenti.
E ancora ricordò la sensazione di oppressione, di vergogna, di quello stupro dell’anima subito, concesso, a cui la società l’aveva costretta. E fu inghiottita da quella densa e vischiosa sensazione di disgusto per tutta la sua esistenza, il suo corpo, la sua anima nera.
L’uomo abbassò lo sguardo come chi è stato colto nel suo più intimo pensiero e le sorrise.
Tornò a parlarle della sua vicenda, di quel baratro che si apriva sotto i piedi come fosse un mostro marino che dagli abissi ti viene a cercare e ti inghiotte. Alla ricerca di consolazione, di risposta, alle parole mancate, alle porte in faccia, agli amici un momento fratelli e ora estranei.
Al momento in cui sentì che non poteva più tornare indietro. E a quell’epilogo che parea un dito puntato che pesava come un martello che batte sul chiodo e dice: più dentro , più dentro. Con una macchia che si allargava a vasto orizzonte.
Chi può ascoltare una cosa del genere? A chi puoi raccontare una cosa del genere? Chi può farsi carico di un peso simile?
La donna ricordò con attenzione lo sguardo della gente, di quella comunità di cui ora non le importava più niente. In nome della quale si era sacrificata. E divenne distaccata e divenne forte, in perenne atteggiamento di sfida, con un peso immenso sul cuore.
Date alla gente ciò che la gente vuole. E calpestate la vostra intima essenza.
L’uomo le raccontò del giorno in cui fece la valigia e prese il treno senza meta, solo con la sua anima nera.
Le accarezzò la mano e la invitò a tornare insieme verso casa, a rivederla, lusingandola per la sua premura.
*Penserai di aver fatto un gesto di carità. di essere stata per me come un buco nella terra dentro il quale farmi urlare questo segreto. non l’ho mai raccontato nemmeno a me stesso da allora.
La donna lo ringraziò e si incamminarono verso la banchina. Il fischio del treno al suo arrivo li irrigidì e si allontanarono appena l’uno dall’altra. Salirono gli scalini, ma un secondo prima che le porte si chiudessero lei fece un passo indietro lungo il primo predellino e scese dalla vettura.
Lo vide allontanarsi, con lo sguardo perso e interrogativo, un momento prima che fosse inghiottito dalla galleria.
*Perché è possibile vincere la forza di gravità, ma non la forza di repulsione che l’anima esercita quando vede un’ altra anima avvicinarsi ed esporsi.
N.B. è incredibile quante storie si raccontino due persone, un momento sconosciute e un momento dopo fratelli dello stesso universo. La storia che ho ascoltato ho scelto di non trascriverla poiché mi è parsa talmente intima e privata che sarebbe stato sacrilego raccontarla.
tiZ
*citazioni di David Grossman – Che tu sia per me il coltello.
Sono righe molto delicate…
A volte gli occhi estranei ci sembrano privi di giudizio e portano il cuore ad aprirsi… Con semplicità , credo
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molto più spesso di quanto si pensi: l’estraneo ci pare più complice di chiunque altro. ..
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Soprattutto quando ci si sente in qualche modo “sbagliati”…
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vero, con quel peso insostenibile da sopportare. .
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Esatto…
La seconda citazione è qualcosa di…
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spudoratamente reale..
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Dannatamente reale…
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Accidenti! Quanta profonda intimità!
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hai visto? non te l’aspettavi eh? 🙂
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Proprio no!
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sorpreSa 😀
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DavveRo!
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Tutto ciò è straordinariamente avvolgente !
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🙂
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straordinario….è stato come spiare dal buco della serratura nelle loro menti
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Grazie mela 🙂
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grazie a te, è stato un viaggio!
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un viaggio istruttivo per me 🙂
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Una storia che pare impossibile ma che è avvenuta realmente. Il caso, il destino ha fatto sì che due persone si incontrassero e da sconosciute abbiano trovato l’empatia di conoscersi.
Anche se non l’hai trascritta è pur sempre un gran bel pezzo.
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Grazie Gian, a me fanno profonda tenerezza 🙂
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ci credo bene
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C’è un errore tecnico in questo post. Quando cadi nel baratro, anche se qualcuno ti afferra, continui a cadere. Ma è sicuramente più vile rimanere immobili di fronte a un crollare.
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mi scusi ma lei è ingegnere baratrologO?
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Vuoi vedere il diploma?
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diploma di ingegnere?
l’hai preso alla cepu?
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La mia scuola è la strada, baby.
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Tanta roba, come dicono i più giovani. E hanno ragione, sì: tanta roba. Questo brano è un breve romanzo. Se non c’è tutto, c’è davvero tanto.
L’incontro. Lo specchiarsi reciproco e l’introspezione. Un cenno di comprensione, quella sensazione di umano calore, e il bisogno, deflagrante, immediato di esternare, anche solo per vedere e vedersi meglio. Il tentato contatto e la ferita, mai cicatrizzata, che brucia ancora e richiama a sé ogni goccia residua di sangue, ogni lacrima superstite. L’io, rimasto nudo e indifeso, che intanto, come un baco, continua a tessere ostinatamente, avvolgendosi su se stesso. La necessità di rialzarsi, senza aver prima toccato il fondo. Il riconoscersi, all’odore, allo sguardo: quella stessa luce negli occhi. Già, perché gli occhi di chi ha molto sofferto sono come perle, nere, immerse nel pozzo profondo dell’anima.
“Anime nere”, recitano l’un l’altra i due protagonisti, tracciando sulla propria veste lo stesso marchio: l’intima condanna, sepolta ma inevasa, che, dietro uno sguardo o un gesto di resa, ancora risuona; l’irresistibile peso della sconfitta e del senso di colpa che ancora opprime; il senso di tradimento e d’abbandono che, nella solitudine e nell’esilio, da lontano, all’improvviso riaffiorano ancora, e ancora costringono ad urlare, imprecare, scalciare.
Ma c’è dell’altro. L’istinto di sopravvivenza che prima avvicina e poi esclude. Una vitalità rianimata che fa incontrare per poi allontanare. Di nuovo.
Questo racconto è struggente, come l’onda sonora che lo accompagna. Il calore, la sfiorata lusinga cedono presto il passo a un desolante senso di irrimediabilità, apparentemente insuperabile. Le citazioni di Grossman [che assaporo voluttuosamente, come invitanti anticipazioni; grazie tiZ] hanno allo stesso tempo l’evidenza e l’impeto di uno schiaffo, il rimbombo di un’ineluttabile sentenza, la fredda precisione di un bisturi. E ho molto apprezzato i nitidi pensieri del narratore, intervallati al muoversi dei due protagonisti nella scena. Mostrano l’occhio di un regista-spettatore nell’atto di cogliere e seguire, e attraversare, solidale e partecipe, non solo la scena, ma la vita.
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Paolo, la tua analisi mi lascia senza parole. E mi intimorisce e mi rende felice. Gli stessi occhi hanno chi ha una storia simile, una stessa traccia, un comune epilogo. E sono occhi diversi che pochi possono comprendere. Grazie per tutte queste parole e per aver sviscerato questo incontro così quotidiano, così normale nella sua splendida autenticità e unicità.
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maledetta! 😉 Non si fa, non si fa! N-o-n si fa. E chiove….lagreme napulitane luntane d’a casa soja. Le mie. Maledetta!;)
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ahhaha incarta e porta a casa 😀
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Red. Non posso dire ti capisco, ma di certo t’invidio. E come non farlo? Questa canzone non mi appartiene, né mi appartengono le parole per provare a definirla. E’ un dono, un omaggio prezioso che accolgo con profonda gratitudine.
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Che delicatezza ed intimità. E’sempre un piacere leggere certi pezzi.
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Grazie flapane 🙂
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colpito dalla storia e dal modo particolare in cui l’hai stesa.
anime nere, anime candide per pochi istanti.
piaciuto,
ml
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Grazie Massimo.
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brava, bello, bis! Biiiis! Brava, brava, brava….Fuori – fuori – fuori! Biiiiiis! Clap clap clap clap.
Qualche commento più su, Paolo ha scritto quanto si potesse dire e non sono degno di cambiargli l’inchiostro alla stilografica.
L’effetto su di me lo descrivo con l’immagine di “Nighthawks” di Edward Hopper
Spero di avere scritto correttamente il codice html e quindi se la vedi: quei due che parlano in fondo sulla destra, quell’uomo al bancone seduto da solo. Ecco mi sono sentito quell’uomo, seduto da solo. DENTRO al quadro di Hopper, non spettatore frustrato di non potere ascoltare cosa si dicono quei due o scambiare una chiacchiera con il barista. Forse ho storie più disperate di quei due, ma senza il sollievo di condividerlo e dividerlo con un altro: quell’umano conforto che ti può ridare una spinta verso l’alto o a rendere meno penosa la discesa ormai inesorabile. E’ vero ciò che scrive più su l’Albucci diplomato e la faccia l’ha dipinta per essere lodato 😉 …E’ vero…La caduta è dell’individuo e se non è l’indiividuo a volerla fermare, è inesorabile. MA se mi accorgo che vi sono altri individui nella mia situazione e qualcuno, incurante di toccare la mia dannazione, si offre di dividerne il peso, beh sarò più leggero e – si sa – se sei più leggero dell’aria, voli. In alto. Più in alto.
Toh si è alzato il vento.
Colonna sonora di questo quadro (Hopper mi perdoni) e della tua storia:
Smile (Genetic World – Telepopmusik)
…
Couldn’t save you from yourself
Haven’t seen that smile for such a long while
Don’t do this to me again
So I went out
To find out what I was looking for
Found the key
Key to our door
…
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Non vedo l’immagine del quadro di Hopper. Ho sbagliato qualcosa eppure ho fatto il copia e incolla sul box dei commenti sempre di WordFess…So’na schiappa! Metto qui il link che ho sul blog liscio liscio…

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“Sedetti sui gradini con loro, mentre aspettavano la macchina. Era buio, davanti a noi: vi era soltanto qualche metro quadrato di luce che usciva dalla porta illuminata, esplodendo nella tenera mattina nera.” [F.S. Fitzgerald, “Il grande Gatsby”]
Sì, le immagini di Hopper si prestano alla perfezione a rappresentare l’atto di osservare e cogliere, con freddo nitore quanto stia accadendo. La luce è artificiale, di più: è funzionale. Potente, esagerata, bianca, pulita. E imprescindibile. Quella di Hopper è una luce che rivela, porta inevitabilmente in superficie.
Il bar qui sopra potrebbe essere – e di fatto lo è, a mio avviso – il “posto pulito, illuminato bene” di Hemingway. Là dove si manifesta il vero. A chi lo sa leggere e attraversare.
tiZ, nel suo brano, è andata un poco oltre. Ci ha trasferito un’atmosfera emotiva che ha mosso lo spettro. La luce, da neutra, ha assunto diversi cromatismi, cangianti. Il sentimento. Come qualcuno ha sottolineato, le anime, nell’arco del racconto, sono nere, poi bianche, si accendono di una leggera fiamma; nel bar, davanti al caffè, le tinte sono calde. Poi la temperatura e il colore cambiano ancora, fino a stemperarsi in un grigio di sospensione, delusione, timore.
Il tocco di tiZ è a tratti duro e vellutato, non neutro. C’è pathos. C’è una dinamica più avvolgente. Il timbro di un violoncello, d’altronde, aggiunge vibrazione e calore, tessuto, incarnato. Alle nostre spalle, fuori da questa ampia vetrina, invece, “sentirei bene” il canto pacato di una tromba.
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se fosse una tromba sceglierei sempre lui :
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“A volte un’ombra appariva in trasparenza sulla persiana di qualche spogliatoio disopra, veniva sostituita da un’altra ombra, da una processione imprecisa di ombre, che si incipriavano e imbellettavano davanti a uno specchio invisibile.”
Chiaroscuro, ombre danzanti.
Vicino a me, la sua pelle, di seta.
E un fruscìo velato, una brezza.
Muoviamo appena, in ascolto.
Respirando la notte.
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Grazie Red, l’immagine di Hopper è bellissima e rende tantissimo, hai ragione sono proprio lì ora, in quell’istante in cui tutto si ferma ed esistono loro soltanto.
Sai sono perfettamente d’accordo con te e Paolo, credo che se anche solo per un momento si può trovare il conforto in un’altra persona, prima di tutto significa che siamo ancora vivi e poi che, probabilmente, se lasciamo a quella spinta dell’istinto di sopravvivenza di elevarSi tutto è ancora possibile e la nostra storia può essere ancora riscritta. Poiché, a dispetto di tutte le leggi del caso o del destino, voglio credere che ogni persona che attraversi la mia vita sia come un ponte tra un punto di partenza e uno di arrivo, che mi aiuti a comprendere maggiormente cosa voglio essere e cosa non essere. E un requisito indispensabile affinché ciò accada è che tutto avvenga nella felicità.
Come dice Banana Yoshimoto
Tutti di solito sono convinti che le persone si separano perché una si è stancata dell’altra, per propria volontà o per volontà dell’altra persona. Ma non è così. I periodi finiscono, come cambiano le stagioni. Semplicemente. E’ una cosa su cui la volontà individuale non ha nessun potere. Viceversa, si ha la possibilità , fino a quando verrà quel giorno, di godere di ogni momento. Noi, fino all’ultimo, vivemmo nella gioia.”
Ps: ma lo sai che invece a me, rileggendolo mi è venuta in mente proprio Yesterday was a lie dei Telepopmusik ? 😉
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Sembra tutto finito…E poi ricomincia, dice la canzone di Jovanotti che calza a questo momento in cui ti scrivo e al tuo discorso: Sabato sera. E di sabato mi viene di scrivere e qualcosa ho anche dedicato a un sabato italiano che tu hai letto ( e mi hai fatto l’onore di una stelleta del gradimento!). Non so se non dipenda proprio dagli individui, tendo a riconoscere agli umani un dono fatto dal Buon Signore nonostante gliene combinassimo di tutti i colori nel suo bel Creato: il libero arbitrio. La libertò di decidere cosa fare, cosa essere, riducendo le opzioni, per esigenze di spazio e opportunità, al bene e al male. Chiaro che nel mezzo c’è tutta l’Umanità varia e avariata. Tuttavia, arrivati a UNA fine, una certezza deve sempre albergare nell’ultima cameretta della nostra anima, quella chiusa a chiave, che non si apre nemmeno quando voi donne fate nelle “pulizie di primavera” e i “cambi di stagione”(-se-ci-fossero-ancora). In quella cameretta, c’è una luce che, fioca o brillante, deve sempre esserci: la speranza. Senza di quella, ci sono individui che decidono di farla finita, per davvero…E per sempre.
Sembra tutto finito…E poi (si) ricomincia.
Yesterday was a lie…beh mi era passata davanti ma non si è fermata quanto Smile (sarà stato per quei versi che mi si sono apparsi come sottotitolo mentre scrivevo il commento e, prima che fuggissero via, li ho inchiodati con dita e tasti,.
Se è per questo rilancio con Love Can Damage Your Health (stesso album) che insieme a Yesterday was a lie rendono un Billie Holliday-mood che calza a pennello a quel quadro di Hopper.
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Speranza, direi proprio di sí.
Rilancio
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skye – not broken
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Sto ripercorrendo le vostre onde sonore con grande piacere. Questo brano mi piace davvero molto. Ed è in sé una sintesi. Freddi, sfiorati accordi, metallici. Una lenta nenia. E, sul refrain, il cambio di tonalità, così semplice, facile, possibile. La vita è questo. La bruma che si alza, un sorriso che illumina un volto all’improvviso. E qualcosa, dentro di noi, riprende a pulsare con forza. E’ una forza saggia, sopravvissuta, implacabile. E’ la speranza. Nel mutamento, una nuova nascita, una nuova gioia.
Not broken. Mi piace!
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