Il ragazzo col violino

Il ragazzo col violino l’ho incontrato centinaia di volte,

E seppur familiare di domande ne avrei da fare, tutte irrisolte.

Si muove sicuro su questo vagone,

Scuotendo in me un magone.

Una carezza si muove in me istintiva,

Frenata da una invettiva:

Perché suoni per noi? Perché non puoi godere della tua giovinezza?

E un obolo cerchi nella tua musica che sollecita profonda tenerezza?

Ti ho incrociato centinaia di volte,  senza porti domanda alcuna, incontrando il tuo sguardo,  provando intensa compassione per il tuo sorriso umile, così all’alba come al primo pomeriggio.  E nelle tue note tormentate non posso che provare profonda pietà per l’ estraneità in cui viviamo.

Vergognosamente non ti ho avvicinato mai, poiché ho avvertito la tua condizione di essere superiore a migliaia di quelli che vedo ogni giorno: fiero,  sereno,  buono, grato di esistere senza aspettarSi nulla.

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A quanto pare, ci vuole un bel fegato per gettarsi nella vita così come capita, senza orari, senza tanti artifici… vivere così come viene, ora dopo ora, alla giornata, addirittura attimo per attimo.. E non aspettarsi niente. E non sperare niente. Stare semplicemente al mondo.
Sandor Marai “La donna Giusta.”

tiZ

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21 pensieri riguardo “Il ragazzo col violino

  1. Sai tiZ, quando ero un’instancabile nonché costretto viaggiatore di metrò, quel suonatore di violino mi faceva l’effetto che hai perfettamente descritto. Ma con un retrogusto più amaro e senza compassione nè per il suonatore nè per il pubblico non pagante.
    Il suono emesso da quello strumento eseguito da quelle mani è un suono vuoto, senza passione, inaridito, perché suonato per un pubblico che non ha richiesto questo spettacolo, per lo più intento in altri pensieri costretti a condividerli pressati in uno spazio ristretto, in certe corse e certi orari, compresso.
    Il pubblico subisce questo suono senza passione e, sopratiutto, senza com-passione. Non c’è emozione in quel vagone. E non dipende dalla bravura del musicista o la bellezza della melodia.
    Il suonatore di violino non dovrebbe entrare in quel vagone e il pubblico non merita quel suono straordinario di uno degli strumenti che più di altri si avvicina a toccare le corde della nostra anima.

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    1. Hai ragione, in quel contesto difficilmente si riesce ad apprezzare la performance di chi si esibisce. E la sua è stridente come certe lied ungheresi. Ma la musica per me è cosa assai sacra: divina, universale, profonda sempre.

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      1. Concordo con te: la musica è quanto più vicino alla nostra anima, fa vibrare certe corde che noi scopriamo di avere solo quando echeggiano certe combinazioni di note e armonie. Ma a me quella musica in quel contesto, pare…lugubre. Suonata per tante ombre diafane, senza colore, infilate in un tubo che corre veloce. Già sotto terra. La musica la associo alla libertà, assenza di costrizioni, posso sentire me stesso. In metro, in quel buio, frenesia, visi stanchi, anonimi per scelta, a volte abbrutiti…non mi sento libero. Tutto qui 😉

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    2. Caro Red (mi inserisco in takle scivolato, un po’ tardivo, certamente falloso, nella vostra discussione), credo che la differenza sia nella “predisposizione”. E non dico nulla di nuovo, né di diverso: la cosa è già scritta e spiegata nelle parole di Marai, “vivere così come viene, ora dopo ora, alla giornata, addirittura attimo per attimo”. Non tutti i giorni e gli attimi sono uguali. All’alba o al tramonto di una giornata di fatica, nella canna di un metrò, nelle viscere della città, seppur impreziosita da opere d’arte, citazioni e sforzi architettonici, è molto probabile che la maggior parte di questi sia grigia, buia; rimbombante, stanca; nauseata, insofferente. Ma ci sono felici eccezioni. Attimi di lucida consapevolezza e, prima ancora, fertili intervalli, effimeri quanto vuoi, in cui la nostra esistenza viene risvegliata e impreziosita da un dono inatteso. Non necessariamente si tratta di qualcosa di nuovo. Hai presente il momento in cui, per la prima volta, “vedi” ciò che hai guardato ogni giorno con occhi diversi, distratti, richiusi su se stessi, sordi…? Sono attimi di luce che si insinua nelle fessure del nostro esistere. E fortuna che in noi esistono quegli interstizi, in cui la vita può soffiare il proprio alito germinante. E’ un po’ come diceva Hemingway – o, almeno, io oggi la intendo così: “We are all broken, that’s how the light gets in.” Ecco. Siamo noi, siamo così.
      [Broken… già, broken…]

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      1. Un’altra cosa. Poi, però, cerco di tacere (è che parlare con voi m piace assai – non si era ancora capito?…).
        Ho la presunzione di credere che in ciò che hai espresso, Red, ci sia una lettura più “sociologica”. Il condizionamento, diciamo così, legato alla riflessione (più che legittima) sulle condizioni umane del “ragazzo col violino”, messa a contrasto con quelle del suo pubblico occasionale, involontario. Ne derivano una serie di domande e sensazioni: perché lo fai? perché ti umili? perché qui? perché a noi?… ecc, ecc. La poesia di tiZ attraversa questo stesso impasse. Ma poi si libera. Filtra, distilla. Nel gesto puro – in sé – del suonare e dell’ascoltare, del dare e ricevere, nel suono stesso del violino, tiZ discerne, esalta e infine gode di ciò che è, scevro del ciò che rappresenta, o dovrebbe essere. Si butta alle spalle il possibile sdegno, il rifiuto, il senso di colpa… Ascolta, semplicemente. Si mette in sintonia. Se non con il ragazzo, almeno con una parte di sé diversa dalla donna stanca “all’alba o al tramonto delle propria giornata di lavoro”. La musica, allora, diventa bella, bella in sé. Il ragazzo, allora – ci si rende conto – è bravo, trasmette emozioni. Se così è, anche lui di certo ne sta vivendo… Quella musica,la sua musica, la nostra musica, allora, non va perduta, risucchiata dal passaggio tuonante di un treno in galleria. E’ viva, è salva. Almeno per un istante…

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