Sono sei anni ormai che un giorno a settimana il mio viaggio si allunga dopo lavoro, un po’ più in là di casa. Borsa, merenda, acqua, libro, divisa: un’ uniforme da volontaria in ospedale pediatrico. Stanca sotto quel peso aspettO un pullman dopo aver subito l’ effetto sardina di due treni. Un odore mi desta dal torpore dell’ attesa. Una donna distinta, sobria, stanca è al telefono : ” dOve sei? ah ecco allora sto per salire anche io” .
La vettura si ferma alla palina e insieme saliamo dalla porta posteriore. Siediamo accanto. Di fronte a noi una ragazza distratta. Bionda, occhi puliti, intorno ha quell’alone dei ragazzi di vent’anni che portano il peso dell’incertezza, l’indifferenza dell’ età, la prosopopea di chi non è né carne e né pesce, la spavalderia di chi si mostra più grande di ciò che è. .
“Ciao”. Dice sommessamente la signora al mio fianco. Ma nOn capisco a chi sia diretto.
La giovane scrive veloce sulla tastiera del telefono. Solo dopo qualche minuto alza lo sguardo e ricambia il saluto.
Cosi la donna cambia posto e dalla mia sinistra mi è di fronte. Dice qualcosa. Poi ferma lo sguardo al monitor dell’ adolescente. La guarda tra lo smarrito e l’imbarazZo di chi non vuole essere invadente, con quel senso di mancanza delle cose perse, della complicità di ieri. Le guardo stupita, la mia fronte è interrogativa. non capisco, continuo a non capire…
Chiude la cover del telefono e impacciata la giovane la bacia sulla guancia e in silenzio dice : “Ciao mamma”.
Il mio sguardo è fuori, su questa strada dissestata, il pensiero va a mia figlia, una stretta, una mancanza, forte, alle sue mani, ai suoi baci, a quell’abbraccio che tutto consola. So che ora è serena mentre è a casa con la tata.
Il mezzo si ferma. Stazionamento. Tutti scendono veloci. Io resto immobile.
E’ comune pensare che ciò che accade ad un perfetto estraneo non ci colpisca, non smuova i pensieri che abbiamo dentro, messi a tacere dalla quotidianità, assopiti dal ‘ poi si vedrà’ . Che diventa poi un continuo lavoro su noi stessi, per non dimenticare ciò che siamo stati, ciò che ci è mancato e ciò che ci siamo ripromessi non accadesse, perché si può colmare una mancanza con un ricordo felice, ma non con il vuoto dei gesti e delle parole inesaudite…
“Signo’ c’amma fa? amma scennere?” Si arresta rigido nell’insolenza delle parole il macchinista quando vede asciugarmi gli occhi…
tiZ
si può colmare una mancanza con un ricordo felice, ma non con il vuoto dei gesti e delle parole inesaudite…applausi
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🙂 addirittura?
grazie.
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Commozione Tiz
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e che ci aspetta. ….
speriamo di no -.-
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Bello questo tuo pensiero e il modo in cui delle storie si intrecciano e parallelismi di relazioni ci sembrano così distanti. La madre, la figlia distratta, tu, la bimba la tata. La vicinanza più distante della distanza fisica.
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mi sono proprio immedesimata e ho sentito un vuoto all’improvviso. .
grazie lois
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( ) Mancanza. Quasi mi mancavano le parole dopo la lettura di questo tuo bel post… e d’istinto mi è venuto di disegnarla questa sensazione di mancanza e mi è venuta così : ( ).
Tra le parentesi la “mancanza”, ma se guardi bene qualcosa c’è. Ciò che hai ben descritto scrivendo di tua figlia sono le parentesi: l’inclusione, la comprensione, l’abbraccio. Se fosse veramente “mancanza” l’avrei disegnata così: )(
Non c’è proprio niente tra le parentesi. Niente. Un abbra()io!
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redbavon mi lasci senza parole. .. spero restino sempre in quella posizione quelle parentesi.
grazieIssimo
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Senza parole pure io…perché ho letto il mio commento ed è impestato da na caterva di refusi. Fammi un piacere, apporta le correzioni altrimenti di “mancanza” ci rimane solo la mia: in italiano. PS: mai scrivere su un telefono quando hai le dita grandi, è buio e non accetti di metterti gli occhiali 😉
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io invece trovo che la ridondanza delle parole a volte diventi poesia. .
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tiZ, no io alludo al fatto che ho scritto:
“d’istinti”…seeeh distinti saluti all’italiano, invece di scrivere “d’ istinto”
“questO sensazione di”…quando uno è indeciso tra “sensazione di” e “senso di”, fa la sua scelta e due sono le cose:
1) la dita non eseguono quello che dice ‘a capa
2) non ti ricordi ciò che hai deciso l’attimo prima.
Il mio commento sta al tuo post come lo street-food sta al menu di uno ristorante plurustellato.Un commento frijenno magnanno
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hahahahaha
bbuono però 🙂
appena posso ti redarguisco 🙂
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Quella è solo una fase. E’ tutto una fase, perché siamo cerchi e alla fine si torna sempre al punto di partenza.
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dici sia sempre così ?
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Se riesci a non spezzare il cerchio, sì.
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ne parliamo tra qualche anno 😉
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molto emozionante è questo post dove noti il rapporto madre – figlia e pensi al tuo.
Così fai anche volontariato? Complimenti.
Felice fine settimana
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grazie Gianpaolo 🙂
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E’ stato un piacere leggere il tuo post. Denota la tua sensibilità.
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…il post ha commosso pure me…
siamo soli con i nostri pensieri, farne di belli è un ottimo modo per trascorrere il tempo…
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assolutamente sì 🙂
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non siamo isole, quel che ci succede intorno ci inonda, si mescola alle nostre emozioni, ci fa da trampolino per altri pensieri.
ma quello che più mi ha colpito è quell’allungare il viaggio, una volta alla settimana, nonostante la stanchezza, nonostante la nostalgia per la figlia, per alleviare un poco figli sconosciuti e madri (in fondo, madri e figlie del titolo sono (anche) quelle che incontrerai in reparto)
ml
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vero, grazie massimo .
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Molto bello e allo stesso tempo di una tristezza infinita,specie se ti succede una cosa del genere già da figlia e poi da madre…Ti auguro di non provarlo mai.
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me lo auguro anche io …
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